ACERBI INTER - Oggi 10 febbraio 2023 Francesco Acerbi spegne 35 candeline. In occasione La Gazzetta dello Sport ha pubblicato una lunga intervista. La prima domanda al difensore dell’Inter riguarda proprio cosa queste primavere di esperienza hanno lasciato al difensore, che risponde: “Che nella vita è sempre necessaria una sfida. A me è servita prima con mio padre, poi con la malattia. Ora la sfida è con me stesso. Ed è quella giusta, che tutti dovremmo affrontare. Perché è quella che ti fa avere sempre l’ambizione di migliorare”.
“È un invito a reagire. A farsi aiutare. Io l’ho fatto, con uno psicanalista, dopo i due tumori. Mi spiegò come reagire e fare lo step. E poi, ai ragazzi, anche a quelli della mia squadra, dico: circondatevi di poche persone, 2-3 massimo, ma fidatissime.
E capite bene cosa volete dalla vita. Fregatevene se giocate o no: date tutto perché prima o poi lo spazio arriverà. Nella sofferenza bisogna combattere. Se invece la reazione manca, anche cambiando squadra si torna allo stesso punto, con gli stessi problemi».
“E invece c’è stato il pari con il Monza, che per una squadra come l’Inter non deve accadere. Il Napoli è una macchina da guerra, ma non dirò mai che per lo scudetto è tutto finito: abbiamo ancora il 5% di possibilità e dobbiamo crederci. Loro dovrebbero rallentare, ma noi dobbiamo pensare di poter vincerle tutte”.
“Avremmo dovuto avere 5-6 punti in più. E allora, con lo scontro diretto di ritorno ancora da giocare, il distacco sarebbe stato meno duro…”.
“Prendiamo l’Empoli come esempio: inconsciamente pensi di poterla vincere in qualche modo, ma a volte non basta. E magari ti capita un imprevisto . Nelle gare “secche” è una motivazione diversa, ma quella fame dovremmo averla sempre. Se abbiamo la cattiveria giusta, vinciamo: su questo non ho dubbi. A volte, però, ci è mancato un po’ di mordente”.
“Se stiamo bene tutti, possiamo essere noi la sorpresa. Il girone ci ha dato fiducia: il Porto è forte e fisico, ma possiamo batterlo. E poi, una volta ai quarti, tutto può succedere: dipende da forma, morale, fortuna. E noi ci arriviamo con Lukaku e Brozo in più”.
ACERBI: L’INTER VERSO IL RISCATTO DELLA LAZIO
“Non lo so, è la verità. Vorrei restare, qui sto bene. Anzi, una cosa la so per certa: non arriverò un’altra volta ad agosto senza conoscere il mio futuro. A luglio saprò dove giocherò. Spero si trovi una soluzione al più presto per il mio riscatto: ho 35 anni, ma sto benissimo fisicamente e mentalmente”.
“È intelligente, simpatico, empatico, sempre positivo. È fortunato, ma la fortuna se la va a cercare. Un profondo conoscitore di calcio, sa tutti i giocatori del mondo: incredibile! Ed è uno che attrae le persone. Da Roma a Milano, è lo stesso”.
“Sapevamo tutti che aveva un’offerta dal Psg, ma non ci ha mai detto nulla. E a noi interessava poco... Abbiamo sempre visto l’impegno, questo ci importava. Poi a fine anno sarà un dispiacere vederlo andare via e non sarà facile sostituirlo: i giovani difensori bravi sono pochi e costano, vedi Scalvini”.
“È un piacere avere Lautaro come compagno, per come lotta in campo mi ha impressionato. Lukaku se sta bene è devastante, non è marcabile. Edin ha un’eleganza fuori dal comune: anche se sta così così, 2-3 soluzioni a partita le trova sempre. E poi c’è Correa: è in difficoltà, cerchiamo di aiutarlo, ma vale gli altri”.
Acerbi ricorda gli anni in cui ha combattuto con il tumore
“Sì, certo. Quando ho avuto due tumori, non me ne fregava niente. Sapevo di sconfiggerli. Ero quasi contento. Lo so, sembra un paradosso, ma ero sfacciato. Dicevo: “Ok dai, affrontiamoli”, come una partita. Mi ripetevo: “Non ho paura”. Ma poi ho capito che è impossibile non avere paura. In realtà, la nascondevo, la tenevo dentro. Adesso ogni tanto penso: “E se il tumore torna? E se arriva una terza volta?”.
Se dovrà succedere, succederà... Sarà un’altra sfida da vincere. In fondo, sono cresciuto sfidando mio padre. Volevo fargli vedere dove ero capace di arrivare. Morì a febbraio, pochi mesi prima del mio passaggio al Milan nel 2012. Dopo la sua morte, mi sentii svuotato. Il calcio aveva perso significato. Da lì è iniziata la discesa: ero arrogante, gli scarsi erano sempre gli altri. Fino alla malattia, appunto…”.
“Un tempo pensavo che con un’altra testa avrei fatto 15 anni nel Milan ad alti livelli. Ma oggi dico di no... Senza la malattia, a 28 avrei smesso. O sarei in B, che ne so, al Cittadella.... Con i tumori è iniziata la mia vera carriera: mi hanno dato una seconda possibilità”.
“Ho una preghiera, tutta mia: è lunga due pagine, ma ci metto 40 secondi a dirla perché la recito a memoria velocissimamente”.