Eto'o si racconta: "Morirò interista. Mi convinse Materazzi a trasferirmi, ora è un fratello"

17 Maggio 2020
- di
Arianna Botticelli
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Tempo di lettura: 2 minuti

INTER ETO'O - A quasi dieci anni di distanza dalla vittoria della Champions League (il 22 maggio 2010), Samuel Eto'o, in una intervista a La Gazzetta dello Sport, ha ricordato tutta la sua avventura all'Inter; dall'arrivo alle magiche imprese.

Inter, Eto'o racconta la sua avventura in nerazzurro

"Il primo contatto con l'Inter fu con quello che sarebbe diventato mio fratello Marco. La storia del suo sms si conosce: un certo Materazzi mi scrive "Se vieni tu all’Inter vinciamo tutto", non ho quel numero in rubrica e chiedo ad Albertini: “È suo?”. Sì. Non mi era mai capitato nella mia carriera, quel messaggio è stato decisivo per la mia scelta. E da lì è nata una grande amicizia. Moratti e Mourinho? Il presidente mi chiamò parlando un francese perfetto e mi disse: "Eto’o, si fidi: lei all’Inter si troverà benissimo, diventerà come casa sua". Aveva ragione. Mourinho mi mandò la foto di una maglia nerazzurra con il numero 9 scrivendomi: "È tua: ti aspetta"".

La stagione del Triplete

"Sapevo di avere la fortuna di essere dove volevo, il vero Eto'o si è visto la stagione successiva. Tatticamente ho svolto il mio dovere, quello che meritava un gruppo così, anche se da terzino ho giocato solo a Barcellona in piena emergenza. Quando fu espulso Thiago Motta, Mourinho chiamò me e Zanetti, ci spiegò come posizionarci. Non avevo il tempo di pensare, mi dissi solo: "Dai tutto e vedremo alla fine". E alla fine eravamo in finale. Il rapporto con Milito? Grazie a Dio la gelosia non è un sentimento che mi appartiene. Diego era in un gran momento, non sbagliava mai sotto porta ma alla fine facevamo la stessa cosa: io giocavo per la squadra, lui segnava per la squadra".

Sulla partita contro il Chelsea e la finale di Madrid

"La partita di Londra? Di quella notte ricorderò per sempre due cose. Il discorso di Mourinho prima della partita: "Nessuna squadra che ho allenato può battermi". Entrammo in campo determinati, giocavamo anche per l'allenatore. Poi ricordo il mio stop prima di andare a segnare, in quel momento mi dissi: "Se lo fai bene, poi segni facile". Ce l’ho ancora qui negli occhi, quel controllo. Il discorso prima della finale? Non fu lungo, mi limitai a dire: "Una finale non si gioca, si vince. O moriamo in campo e portiamo la coppa a Milano, o moriamo perché a Milano non ci torniamo. Quindi vediamo di tornarci, e di portare con noi la coppa".

Sul possibile ritorno all'Inter nel 2013

"Non so se ci sia mai stata una possibilità, il mio era un desiderio. Per me sarebbe stato molto bello. Se sei interista una volta, morirai interista. Non c’è un motivo, è così e basta".

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