INTER BRANCA TRIPLETE - Marco Branca, ex direttore dell'area tecnica dell'Inter, ha raccontato, in una intervista a Libero, la stagione che nel 2010 portò i nerazzurri alla conquista del leggendario Triplete.
"Avevamo una squadra di alta qualità e anche di gente calcisticamente arrabbiata. Andate a farvi un’analisi tecnica e caratteriale di quelli che abbiamo preso e che ci hanno portato al Triplete. Milito e Thiago Motta, scartato da Atletico, Barca, Portsmouth, dovevano far vedere che erano da grande squadra non solo da Genoa; Lucio era furibondo perché cacciato dal Bayern; Sneijder era stato scaricato dal Real. Eto’o era stato accantonato da Guardiola e poi è venuto da noi e ha fatto il secondo Triplete consecutivo. E Pandev? Già ci interessava portarlo a Milano il giugno successivo, ma poi a gennaio abbiamo colto l’occasione. È arrivato che era incazzato nero, alla Lazio era fuori rosa e non giocava da 7 mesi: con noi è stato sempre in campo e decisivo".
"La ricordo perfettamente, c’era un’atmosfera di grande sicurezza, pensate da quale filotto venivamo: l’eliminazione al cardiopalma del Barcellona in semifinale, la vittoria della Coppa Italia a Roma sulla Roma e quella dello scudetto a Siena. Eravamo pronti ad affrontare e superare qualsiasi imprevisto, mentalmente ci siamo presentati da vincenti. E così è stato".
"Non è stato il colpo dell’ultimo minuto, come si racconta: gli stavo dietro ormai da otto mesi, sapevo che era il fantasista perfetto per completarci. Poi in estate lo avevo perso un po’ di vista ma, quando sembrava che non dovesse più venire, con Ernesto Bronzetti e Peppino Tirri siamo stati capaci di sbloccare la cosa negli ultimi tre giorni di mercato. Anzi, nelle ultime ore, visto che abbiamo chiuso l’affare alle tre del mattino del 26 agosto. L’abbiamo presentato il 28 ed è sceso in campo nel derby il 29: aveva fatto solo il defaticante con la squadra e Mourinho era anche piuttosto contrariato. Poi ha giocato una partita stupenda, vittoria 4-0. Che gli vuoi dire?".
"È vero, ci siamo mossi con discrezione, ma Leo non ha voluto lasciare perché era molto riconoscente nei confronti di una società che lo ha preso da piccolo e ha creduto in lui così tanto da aiutarlo a superare anche quei problemi di salute che aveva. È la dimostrazione che in questi grandi affari l’aspetto economico non viene sempre al primo posto".