TRIPLETE INTER MOURINHO – 22 maggio 2010: una data impressa nel cuore di tutti i tifosi dell’Inter, che oggi possono ricordare con emozione l’anniversario del Triplete. Per l’occasione, José Mourinho è stato ospite di Casa Sky Sport e ha ripercorso quell’annata strepitosa: “Grazie ai miei giocatori, senza di loro non sarei qui ora. Ci sono dei momenti indimenticabili nella vita e questo è uno di quelli. Il rapporto che ho con i giocatori, con Moratti e con tutte le persone con cui ho lavorato è un rapporto attuale, e penso sia più importante. Il Triplete, la Champions, era il sogno di tutti gli interisti e di tutti noi, ma ciò che rimane per sempre sono quei rapporti. I risultati fanno la storia: senza non è la stessa cosa, ma sento qualcosa di veramente speciale nei confronti di questa squadra, perché va oltre di coppe, medaglie, successi. Una squadra non ha un solo capo, io sono stato uno dei quelli e ora è come se fossimo una famiglia: è qualcosa che mi ha segnato profondamente”.
“A Kiev all’85’ eravamo fuori dalla Champions, contro il Chelsea abbiamo faticato tantissimo e a Barcellona quando è stato espulso Thiago Motta tutti abbiamo pensato di essere fuori. Ma a Madrid la sensazione di tutti era che avremmo vinto. Ho cercato di trasmettere il messaggio corretto ai giocatori, che dovevano giocarla, ma la sensazione di tutti era che la coppa sarebbe stata nostra. Senza quell’unione è difficile fare poi delle stagioni storiche. Io non sono nato interista così come molti giocatori, ma si è creata un’empatia che ha reso speciale quel gruppo. Tutta la stagione fu difficile, non solo in Champions: in campionato venimmo superati dalla Roma verso la fine dopo il pari di Firenze, poi ci furono tanti infortuni. Ho sentito sempre che ero uno della squadra, anche se ero l’allenatore: avevo solo più esperienza e responsabilità”.
“Anche a 40 anni senza parrucchiere ha sempre i capelli a posto. La gente lo guarda come il capitano, ma per me Zanetti era il capitano dei capitani. Avevamo un gruppo di ragazzi, in cui qualcuno non giocò molto, ma erano tutti fondamentali per l’ambizione e la professionalità della squadra. Era un gruppo di giocatori dal cuore nerazzurro, che trasmetteva questi valori, la voglia di realizzare un sogno. Per molti era o in quel momento o mai più vista l’età. Abbiamo cercato il profilo di giocatori utili anche dal punto di vista tattico, che dessero più opzioni. Milito e Motta arrivavano dal Genoa per vincere almeno in Italia, poi Lucio, Eto’o e Sneijder non furono volute dalle rispettive squadre e devo ringraziare tanto Branca e Oriali perché hanno fatto un grandissimo lavoro aiutandomi tantissimo nelle scelte fondamentali. Chi guidava tutti al sogno era Moratti, la sua ambizione è stata determinante. Oggi mi sento come il rappresentante dei giocatori, non mi vedo speciale. Non ho mai pensato a me e ai miei traguardi personali, mi sono sempre preoccupato della gioia degli altri: per Moratti, per Zanetti, per i giocatori e i tifosi. Ricordo una cena con Milito di poco tempo fa, anche se non ci vediamo da tanto è come essersi visti il giorno prima. E parlo ancora ad esempio con l’autista che avevamo all’epoca: i miei amici all’Inter vanno oltre i trofei”.
“Io non amo parlare delle storie di spogliatoio, ma penso che dopo tanti anni penso che sia bello che la gente possa condividere con noi queste situazioni. Ho pianto tante volte dopo le grandi vittorie, ma ho pianto solo una volta dopo una sconfitta. Col Barcellona è stata la più bella sconfitta della mia vita. Senza qualità e idea di gioco non avremmo resistito. Mio figlio disse che voleva vedermi vincere una Champions che potesse ricordare, all’epoca aveva 10 anni: così io parlai ai giocatori partendo da questo, che pensassero ai loro figli e regalare loro la Champions. Entrammo in campo col sentimento di non fare un’impresa per noi, ma per tutti. Quando venne espulso Thiago, la panchina del Barcellona stava già festeggiando: io andai lì e dissi ‘guardate che ancora non è finita’, perché sapevo che i giocatori avevano una tenuta mentale importante. Gli aspetti umani hanno vinto in quella partita”.
“Penso che la cosa più importante sia volere qualcosa. Fare una carriera come la loro, dopo vent’anni di calcio, in tanti decidono di vivere una vita diversa rispetto all’allenatore, che non abbia pressioni quotidiane. Cambiasso facilmente potrebbe trasferire il suo modo di giocare nelle capacità di allenatore: tutti quelli che giocavano davanti alla difesa, hanno una visione privilegiata. Costinha, Xabi Alonso, Matic: tutti loro hanno visione e personalità. Esteban può farcela, ha già delle esperienze e si sta preparando per fare una carriera importante come allenatore”.
“Difficile dirlo, perché non è facile. Sono in una squadra che non ha mai vinto, che non ha cultura della vittoria, dove prima di vincere in Europa si deve cercare di vincere in Inghilterra e non è facile. Questa è la mia missione e di un club in crescita come il Tottenham. Per un tifoso interista è dura accettare il fatto che si sia vinto così poco dopo il Triplete, ma la società sta facendo investimenti importanti e non sarebbe una sorpresa se l’Inter tornasse presto a vincere in Italia”.